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Data: 06/12/2010 11:00:00 - Autore: Avv. Paolo M. Storani Pubblicata appena il 2 dic '10 ha colto parecchi di sorpresa la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia Europea sulla norma italiana che nega ai dipendenti pubblici impiegati part-time l'esercizio della professione forense. Orbene, la Quinta Sezione, Presidente Levits ed Estensore Ilesic, ha spiegato che la Direttiva 98/5/CE va interpretata nel senso che lo Stato membro ospitante può imporre restrizioni all'esercizio simultaneo della professione forense e dell'impiego pubblico, purché tali limitazioni non eccedano quanto necessario per conseguire l'obiettivo di prevenzione dei conflitti d'interesse e si applichino a tutti gli avvocati iscritti in quella nazione. Incubazione della vicenda avanti al Giudice di Pace di Cortona in una controversia stradale del valore di €200,00: gli avvocati che tutelavano la danneggiata in corso di causa vengono cancellati dall'Albo tenuto dall'Ordine di Perugia. Infatti, il Regio Decreto Legge n°1578/'33 dispone che l'esercizio della professione forense è «incompatibile con qualunque impiego o ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni (...) e in generale di qualsiasi altra Amministrazione o istituzione pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle Province e dei Comuni». La legge n°662/'96 prevede, però, un'eccezione al divieto per i dipendenti delle Amministrazioni pubbliche con rapporto di lavoro a tempo parziale e fino al 50%. Ma nel 2003 i divieti del Regio Decreto n°1578/33 vengono ripristinati. Talché, i pubblici dipendenti che abbiano ottenuto l'iscrizione all'albo avvocati dopo il '96 e risultano ancora iscritti, possono optare per il mantenimento del rapporto d'impiego, dando comunicazione al Consiglio dell'Ordine entro 36 mesi dalla data di entrata in vigore della legge. In difetto, i Consigli degli Ordini provvedono alla cancellazione d'ufficio. I giudici comunitari hanno, quindi, dato ragione all'Italia poiché le disposizioni del Trattato in tema di libera concorrenza ammettono una normativa nazionale di negazione ai pubblici dipendenti part-time la possibilità di esercitare come avvocato, quantunque abbiano conseguito la relativa abilitazione, disponendone la cancellazione. Si dà rilievo allo scongiurare sul nascere ipotesi di conflitto d'interessi, indispensabile all'esercizio della professione forense esaltando la condizione d'indipendenza dell'avvocato rispetto ai poteri pubblici. Il GdP del bel Comune della Val di Chiana aretina aveva sospeso il processo civile sottoponendo alla Corte le questioni seguenti: «1) Se gli artt. 3, lett. g), [CE], 4 [CE], 10 [CE], 81 [CE] e 98 [CE] debbano essere interpretati in modo da ritenere che ostino ad una disciplina nazionale, quale quella risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003], che reintroducono l'incompatibilità all'esercizio della professione forense da parte dei dipendenti pubblici part‑time e negano agli stessi, pur in possesso di un'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato, l'esercizio della professione disponendone la cancellazione dall'albo degli avvocati con provvedimento del competente consiglio dell'ordine degli avvocati, salvo che il pubblico dipendente opti per la cessazione del rapporto di impiego. 2) Se gli artt. 3, lett. g), [CE], 4 [CE], 10 [CE] e 98 [CE] debbano essere interpretati in modo da ritenere che ostino ad una disciplina nazionale, quale quella risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003] (...). 3) Se l'art. 6 della direttiva [77/294] (...) debba essere interpretato in modo da ritenere che esso osti ad una disciplina nazionale quale quella risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003] (...) laddove tale disciplina nazionale sia applicabile anche agli avvocati dipendenti che esercitano l'attività forense in via di libera prestazione dei servizi. 4) Se l'art. 8 della direttiva [98/5] (...) debba essere interpretato in modo da ritenere che esso non si applichi all'avvocato dipendente pubblico part time. 5) Se i principi generali di diritto [dell'Unione] della tutela del legittimo affidamento e dei diritti quesiti ostino ad una disciplina nazionale quale quella risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003], che introducono l'incompatibilità all'esercizio della professione forense da parte dei dipendenti pubblici part-time e si applicano anche agli avvocati già iscritti negli albi degli avvocati alla data di entrata in vigore della medesima legge (...), prevedendo all'art. 2 solo un breve periodo di “moratoria” per l'opzione imposta fra impiego ed esercizio della professione forense». Questo il PQM emesso dalla Corte di Giustizia Europea: Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: 1) Gli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 CE e 98 CE non ostano ad una normativa nazionale che neghi ai dipendenti pubblici impiegati in una relazione di lavoro a tempo parziale l'esercizio della professione di avvocato, anche qualora siano in possesso dell'apposita abilitazione, disponendo la loro cancellazione dall'albo degli Avvocati. 2) L'art. 8 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, dev'essere interpretato nel senso che lo Stato membro ospitante può imporre agli avvocati ivi iscritti che siano impiegati – vuoi a tempo pieno vuoi a tempo parziale – presso un altro avvocato, un'associazione o società di avvocati oppure un'impresa pubblica o privata, restrizioni all'esercizio concomitante della professione forense e di detto impiego, sempreché tali restrizioni non eccedano quanto necessario per conseguire l'obiettivo di prevenzione dei conflitti di interesse e si applichino a tutti gli avvocati iscritti in detto Stato membro. Il form qui sotto è a disposizione per le Vostre considerazioni sulla tematica dell'avvocato-dipendente pubblico part-time. |
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