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Data: 18/01/2011 09:00:00 - Autore: Luisa Foti Con la sentenza n. 52/2011 il Consiglio di Stato ha stabilito che l'immigrato che dà del razzista ad un cittadino italiano non ha diritto ad ottenere la cittadinanza anche se non ha riportato nessuna condanna penale per il fatto e pur vivendo da diversi anni nel nostro territorio. È questa decisione messa nero su bianco dai giudici amministrativi di secondo grado della sesta sezione. In sostanza i giudici hanno motivato la decisione sostenendo che il requisito dell'integrazione è fondamentale per il rilascio della cittadinanza. Nonostante l'episodio di fosse verificato diversi anni prima della richiesta di cittadinanza e nonostante l'uomo non avesse riportato condanne penali i giudici di Palazzo Spada hanno negato la cittadinanza all'uomo straniero. Come si legge dalla parte motiva della sentenza, per il rilascio della cittadinanza italiana è necessario il requisito della residenza da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica (art. 9, comma 1, lettera f). Ci sono poi condizioni preclusive al rilascio della cittadinanza, come aver l'aver riportato condanne penali o per comprovati motivi, inerenti alla sicurezza della Repubblica. I giudici hanno però aggiunto che oltre a questi requisiti, “la cittadinanza italiana “può” essere concessa (art. 9 cit., comma 1), sulla base di valutazioni che la giurisprudenza ha definito “altamente discrezionali” e, proprio in quanto tali, riferibili ad un potere autoritativo incidente su un interesse legittimo, la cui tutela rientra nella cognizione del Giudice Amministrativo”. “In base ai principi generali, - continuano i giudici nella parte motiva della sentenza - inoltre, la valutazione del Ministero si deve basare su dati oggettivi e su una ragionevole valutazione delle risultanze emerse nel corso del procedimento (Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2006, n.3456). Nella situazione in esame, il Collegio ritiene che i vizi in questione non siano configurabili, in quanto l'episodio contestato all'appellante non viene smentito in punto di fatto e, anche se privo di seguito sul piano penale, può essere stato ragionevolmente inteso – alla data di emanazione del provvedimento impugnato – come espressivo di una non ancora avvenuta piena assimilazione dei valori costituzionali. Sotto tale profilo, è del tutto ragionevole che il Ministero attribuisca rilevanza a condotte, effettivamente commesse, in qualsiasi modo violente o espressive di opinioni denigratorie, espresse con parole ingiuriose, nei confronti dello Stato italiano e dei suoi cittadini. Ovviamente, tali condotte col tempo non possono che perdere rilievo, nel senso che il perdurare della permanenza nel territorio dello Stato senza commettere reati ed atti di violenza va considerato dal Ministero come indice di un adeguato inserimento nella società e di condivisione dei suoi valori fondanti. Nella specie, la Questura di Bergamo ha desunto elementi di carattere negativo, per la concessione della cittadinanza, da fatti commessi circa sette anni prima”. |
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