Data: 21/01/2011 - Autore: L.S.
"Integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi". E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 1284 del 18 gennaio 2011; con la pronuncia la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un datore di lavoro che riteneva non ravvisabili gli estremi del reato di estorsione mancando, a suo dire, l'elemento materiale della minaccia e, quindi, lo stato di soggezione delle parti offese. La Suprema Corte, ritenendo corretta ed adeguata la decisione dei giudici di merito, precisa che "la Corte territoriale non solo ha ben chiarito in punto di fatto che il contegno e le espressioni reiteratamente adoperate avevano un'indubbia e specifica valenza intimidatoria e coartativa, ma ha anche ribattuto all'obiezione secondo la quale le lavoratrici non potevano sentirsi minacciate atteso che si erano rivolte al giudice del lavoro ed al sindacato, osservando correttamente che 'per configurarsi il reato di estorsione è sufficiente che la minaccia sia tale da incutere una coercizione dell'altrui volontà ed a nulla rileva che si verifichi un'effettiva intimidazione del soggetto passivo' […] sicché diventa del tutto irrilevante che le parti offese, in seguito, si siano rivolte al giudice del lavoro per ottenere le proprie spettanze."
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