Data: 03/06/2003 - Autore: Valeria Zatti
Il 10 aprile 2003 il Senato della Repubblica ha approvato un disegno di legge che, se confermato dal voto positivo della Camera dei Deputati, segnerà una delle "rivoluzioni" cui il diritto amministrativo italiano ci ha di recente sempre più abituato. Oggetto principale della riforma è la disciplina del procedimento amministrativo e, segnatamente, l'introduzione di significative modifiche alla legge n. 241/1990, pietra miliare della materia. Le innovazioni proposte hanno portata assai ampia e incidono su molteplici istituti, ma pare possibile rintracciare, fin d'ora, alcune "chiavi di volta": le "parole d'ordine" sembrano essere efficienza, celerità, pubblicità e adeguamento alle evoluzioni registratesi tanto nel campo della tecnologia e della telematica, quanto in ambito giuridico con riferimento sia alla crescente esigenza di armonizzazione con la normativa comunitaria, sia alla riforma costituzionale che ha investito il titolo V della nostra Carta fondamentale. Quanto all'esaltazione dei principi generali del "buon andamento" e della trasparenza, il legislatore è mosso dalla consapevolezza che il rapporto fra pubblica amministrazione e cittadini è ormai lontano da quello stampo autoritario e statalista che tendeva a piegare gli interessi dei privati alle esigenze della "cosa pubblica". E' ormai maturata la coscienza della collettività ed è fortemente cambiato il contesto sociale e culturale nel quale la P.A. viene a operare: il cittadino oggi è in grado di pretendere efficienza, rapidità e un'effettiva partecipazione e coinvolgimento nei procedimenti che lo riguardano. Già con la legge n. 241/1990 si era avuta una vera e propria svolta che, del resto, non faceva altro che "ufficializzare" le tendenze, consolidatesi sia nella giurisprudenza italiana che nella normativa comunitaria, volte a consacrare i principi del cd. "giusto procedimento". Con il disegno di legge in esame, tuttavia, il "buon andamento" della P.A., che la Costituzione da sempre proclama come uno dei capisaldi dell'organizzazione amministrativa, pare davvero trovare risposte puntuali nel diritto positivo. Iniziando ad analizzare più dettagliatamente le innovazioni che si vorrebbero introdurre, è da segnalare, innanzitutto, il comma 1-bis che viene aggiunto all'art. 1 della legge n. 241/1990. La novella pare ribaltare il vecchio dogma in base al quale le amministrazioni pubbliche devono agire tendenzialmente attraverso atti unilaterali, espressione del potere d'imperio, sancendo, di converso, che, in nome del migliore soddisfacimento dell'interesse pubblico, la P.A. può utilizzare gli strumenti offerti dal diritto privato, anzi, deve tendenzialmente preferirli ove si rivelino più efficienti. Tale previsione si innesta nel solco che il nostro legislatore sta tracciando ormai da anni: quello della privatizzazione. Basti pensare al processo di trasformazione degli enti pubblici in S.p.a. o alla c.d. privatizzazione del pubblico impiego, con tutte le conseguenze di cui è gravida tale riforma. Le logiche aziendalistiche e gli schemi privatistici stanno dilagando sempre più anche nel diritto amministrativo perché considerati maggiormente funzionali, efficaci e dotati di quella "scioltezza" nelle forme che pare essere tra gli obiettivi principali dell'amministrazione moderna. Di recente, peraltro, il legislatore è intervenuto, in tale direzione, con la legge n. 145/2002 che introduce meccanismi volti a incentivare lo scambio di esperienze e l'interazione fra pubblico e privato, in particolare favorendo la mobilità e l'attribuzione di incarichi dirigenziali anche a imprenditori; si mira, più in generale, a intessere una rete di collegamenti con quel mondo dell'iniziativa economica privata che funge, oggi, da modello di dinamismo per la "macchina pubblica", troppo spesso "inceppata" in lacci burocratici ed eccessivi formalismi. L'evoluzione che il Senato prospetta, d'altro canto, non è solo una questione di accorgimenti tecnico-giuridici; come illustra pure la Relazione al disegno di legge in questione, siamo di fronte anche, e a monte, ad un radicale mutamento dell'assetto dei rapporti fra lo Stato e i cittadini. E' stata ormai "abbattuta" quella piramide che vedeva le pubbliche autorità al vertice e la comunità alla base ed è stata tessuta, al suo posto, una trama dall'intreccio fitto di legami, contatti?un groviglio di fili che si intersecano su una base omogenea. I rapporti si sviluppano su piano paritario, di collaborazione, di interscambio fra la P.A. e il singolo cittadino; quest'ultimo opera all'interno del "nuovo" procedimento amministrativo come "protagonista", e non più come mero spettatore o "vittima sacrificata all'altare della Patria". Simile ratio ha la novella che, nel ribadire con forza il principio di legalità dell'azione amministrativa (già da tempo enucleato dall'art. 97 Cost.), precisa che ove un provvedimento produca limitazioni o, comunque, abbia effetti negativi sulla sfera giuridica di privati e non sia ottemperato dal destinatario, esso può essere eseguito coattivamente solo nei casi e con le modalità previste dalla legge. La c.d. esecutorietà del provvedimento amministrativo, dunque, è da ricondursi strettamente al principio di legalità, senza possibilità di dar luogo ad abusi, accampando l'esercizio di presunti "poteri impliciti", come troppo spesso la P.A. italiana era avvezza a fare. Sempre nell'ottica di tutelare i cittadini da prevaricazioni e renderli "parti attive" del procedimento, è stato potenziato il diritto di accesso ai documenti amministrativi e gli strumenti atti a renderlo effettivo. La disciplina di tale diritto (strettamente funzionale rispetto alle garanzie di trasparenza e imparzialità) necessita, in effetti, di un adeguamento alle innovazioni legislative e costituzionali che sono sopravvenute alla legge n. 241/1990. Quanto alle prime, è da segnalare l'istituzione del Garante per la protezione dei dati personali; quanto alle seconde, la stessa lettera del disegno di legge fa esplicito riferimento alla formulazione dell'art. 117 Cost., così come risultante dopo la legge costituzionale n. 3/2001. Più precisamente, l'accessibilità ai documenti amministrativi viene innalzata a principio generale dell'attività amministrativa e ricondotta a quei "livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali" che lo Stato si deve impegnare a garantire su tutto il territorio, salve restando le eventuali integrazioni di tutela che potranno mutare da Regione a Regione. Continuando questa primissima analisi delle disposizioni del disegno di legge approvato dal Senato, è da evidenziare come l'obiettivo dell'efficienza sia perseguito anche attraverso una disciplina parzialmente innovativa delle invalidità giuridiche degli atti amministrativi. In base a una ratio che potremmo definire ispirata al principio di conservazione, si stabilisce che le violazioni di carattere formale o procedimentale non danno luogo ad annullabilità del provvedimento ove il contenuto dello stesso non avrebbe subito modifiche dal punto di vista contenutistico. Dunque il motto pare essere "sempre più rilevo alla sostanza e bando ai formalismi". Sempre nell'ottica di esaltare le esigenze di rapidità sono da inquadrare le norme che potenziano l'istituto della conferenza di servizi. Sono introdotte, infatti, disposizioni volte ad accrescere il tasso di efficacia di tale strumento, attraverso meccanismi deputati ad abbreviare i tempi dei lavori e obbligando le amministrazioni interessate a esprimere in quella sede i loro eventuali dissensi, prospettando, all'uopo, proposte alternative. Per concludere, è opportuno segnalare che il disegno di legge in esame si è reso necessario, oltre che per garantire una maggiore "scioltezza" operativa e, quindi, un buon andamento in senso lato ai nostri apparati burocratici, anche, come accennato, per le pressanti esigenze di adeguamento alle innovazioni sopravvenute in campo tecnologico e normativo. Per quanto riguarda il primo, si propone di inserire un nuovo art. 1-ter (nel testo della legge n. 241/1990) che impone alle pubbliche amministrazioni di incentivare "l'uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati, nelle forme previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000, modificato dal decreto legislativo n. 10/2002". In merito all'adeguamento nei confronti dell'evoluzione normativa, invece, il riferimento è ad ordinamenti, da un lato, infranazionali e, dall'altro lato, ultranazionali. Riguardo ai primi, è divenuto pressante il rispetto delle prerogative regionali; la legge costituzionale n. 3/2001, difatti, nel modificare il titolo V, parte II, della nostra Costituzione, ha notevolmente ampliato le potestà di Regioni (potestà legislative, statutarie e regolamentari) e di enti locali (soprattutto potestà statutaria e regolamentare, tanto che si parla, oggi, di "municipalismo dell'esecuzione"). Gli ultimi articoli del presente disegno di legge si occupano, in modo esplicito e chiaro, proprio dell'esigenza del rispetto di questo mutato assetto delle competenze degli enti territoriali, prevedendo che le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regoleranno le materie disciplinate dalla normativa in esame con propri atti di autonomia. Le potestà legislative, regolamentari e statutarie, si precisa, dovranno essere esercitate "nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge". E' da chiedersi subito, però, se la riserva che si prospetta a favore dello Stato, in merito alla normazione "di principio" in materia, sia legittima, specie alla luce della formulazione risultante dopo la modifica del titolo V della parte II della Costituzione. Nella nostra Carta fondamentale, difatti, non esiste nessuna norma che, almeno in via esplicita, contempli una tale riserva, a differenza delle Costituzioni spagnola e tedesca che, di converso, riconoscono una competenza generale ed esclusiva in capo allo Stato in tema di azione e di procedimento amministrativo. La Relazione illustrativa del disegno di legge, tuttavia, ritiene di poter rintracciare il fondamento della suddetta potestà dello Stato in diverse norme della Costituzione, nella formulazione risultante a seguito della novella. A tal fine, è evidenziata, in particolare, la portata assai ampia della lettera m) del secondo comma dell'articolo 117 Cost.; stando a tale disposizione, è di competenza esclusiva dello Stato la determinazione dei "livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali". Attraverso l'esercizio di tale potestà, dunque, è possibile imporre a tutte le amministrazioni dei vincoli di rispetto da un lato, di standards minimi di quantità e qualità dei servizi e, dall'altro lato, di canoni comportamentali dell'ente pubblico; e ciò vale anche riguardo a obblighi finalizzati a rendere effettivi i diritti civili e sociali dei cittadini, quali, ad esempio, la trasparenza e celerità del procedimento amministrativo. Resta, comunque, salva la competenza delle regioni e degli enti locali a garantire un grado di protezione più intenso e prestazioni integrative nell'assai comprensiva "materia" dei diritti civili e sociali. Per quanto concerne, invece, l'adeguamento alle innovazioni normative intervenute a livello ultranazionale, sono da sottolineare le influenze apportate dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea. L'art. 1, comma 1 della legge n. 241/1990, infatti, è stato integrato dall'inserimento, tra i criteri generali cui l'azione amministrativa deve informarsi, dei principi di proporzionalità e legittimo affidamento, di chiara origine comunitaria, nonchè di un generico richiamo ai principi dell'ordinamento della stessa U.E. In definitiva, non ci resta altro che aspettare l'esito dell'iter legislativo del rivoluzionario disegno di legge appena commentato. Concludendo, pare opportuno rilevare che i tempi per una tale "svolta" nella disciplina del procedimento amministrativo sembrano essere già da tempo maturi: il testo proposto, difatti, è, in più parti, analogo a quello approvato dalla Camera dei Deputati nel 2000 (A.C. 6844) quasi all'unanimità e decaduto solo per la circostanza congiunturale della fine della legislatura.
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