Tempo della prestazione lavorativa
L'orario di lavoro, la durata massima e il lavoro straordinario
Il contratto di lavoro è un contratto di durata e le sue obbligazioni sono destinate ad essere adempiute nel tempo.
Tale circostanza, alla luce del diretto coinvolgimento della persona del lavoratore e della conseguente necessità di tutelare l'integrità psichica e fisica di questo, rende la dimensione temporale della prestazione lavorativa particolarmente rilevante. Basti pensare che proprio la previsione di limiti alla durata della giornata lavorativa è stata una delle prime conquiste ottenute in materia di diritto del lavoro, all'indomani della rivoluzione industriale.
L'orario normale di lavoro
La disciplina nazionale dell'orario di lavoro è stata interessata da una lunga evoluzione, che è andata di pari passo con l'evoluzione economica mondiale e che è sfociata nell'emanazione del decreto legislativo numero 66/2003, nel quale oggi la materia trova la sua principale fonte di disciplina.
In tale testo si intende per orario di lavoro "qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni". La sua durata normale è fissata in quaranta ore settimanali, ma viene fatta salva la possibilità per i contratti collettivi di prevedere una durata minore o di riferire l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative rese in un periodo non superiore a un anno (cd. orario multiperiodale).
Scompare nel testo del 2003 ogni riferimento alla durata giornaliera della prestazione lavorativa, anche se il suo limite massimo può essere individuato a contrario in tredici ore, dato che l'articolo 7 del d.lgs. n. 66 sancisce che ogni lavoratore ha diritto a un riposo consecutivo di undici ore ogni ventiquattro.
Durata massima settimanale
Non solo la giornata lavorativa ha una sua durata massima, ma anche la settimana.
Il legislatore, infatti, ha previsto che la settimana lavorativa non può superare il limite medio di 48 ore comprensive dello straordinario, calcolato avendo come riferimento un arco temporale di quattro mesi, modificabile ad opera della contrattazione collettiva.
In particolare, la contrattazione collettiva può innalzare il periodo di riferimento per il calcolo medio della durata massima settimanale a sei mesi o anche a dodici mesi a fronte di ragioni oggettive, tecniche o inerenti l'organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti.
Lavoro straordinario
Il lavoro prestato oltre l'orario normale è definito lavoro straordinario. Esso secondo la disciplina di legge è contenuto e le sue modalità di esecuzione sono regolamentate dai contratti collettivi applicabili.
In assenza di disciplina collettiva, in ogni caso, il lavoro straordinario può comunque essere svolto: è a tal fine necessario un accordo tra lavoratore e datore di lavoro e le ore massime che possono essere richieste sono duecentocinquanta ogni anno.
L'articolo 5 del decreto numero 66, al comma 4, stabilisce poi che il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, è ammesso in casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive impossibili da fronteggiare attraverso l'assunzione di altri lavoratori e in casi di forza maggiore o in cui la mancata esecuzione di prestazioni di lavoro straordinario possa essere fonte di un pericolo grave e immediato o di un danno alle persone o alla produzione.
Legittimano lo straordinario, inoltre, eventi particolari come mostre, fiere e manifestazioni collegate all'attività produttiva, nonché l'allestimento di prototipi, modelli o simili predisposti per le stesse.
In forza di legge, lo straordinario va computato a parte rispetto al normale orario di lavoro e deve essere compensato con delle maggiorazioni retributive secondo la misura prevista dai contratti collettivi di lavoro o, se questi ultimi lo consentono, in alternativa o in aggiunta con dei riposi compensativi.
Lavoro notturno
Il lavoratore che svolge durante il periodo notturno (ovverosia il periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino) almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in maniera normale o almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dalla contrattazione collettiva o, in difetto di disciplina collettiva, almeno tre ore per un minimo di ottanta giorni lavorativi l'anno (da riproporzionare in caso di part-time) è definito lavoratore notturno.
Esso soggiace a una particolare disciplina di legge, contenuta negli articoli da 11 a 15 del decreto legislativo numero 66/2003, che può essere in larga parte derogata dalla contrattazione collettiva.
In particolare, norme specifiche riguardano la sua modalità di organizzazione, la sussistenza di specifici obblighi di comunicazione, la durata, la tutela e il trasferimento al lavoro diurno.
Si segnala, in particolare, che i contratti collettivi sono chiamati a stabilire i requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall'obbligo di effettuare lavoro notturno e che è in ogni caso vietato adibire le donne al lavoro dalla mezzanotte alle sei dall'accertamento dello stato di gravidanza sino al compimento di un anno di età del bambino.
La legge prevede poi che non sono obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre con la stessa convivente; la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni; la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore nei primi tre anni dall'ingresso di questo in famiglia o, comunque, non oltre il dodicesimo anno di età (o in alternativa il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa e alle medesime condizioni) e la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile.
Aggiornamento: Agosto 2016
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