L'esercizio del diritto di servitù
- Il diritto di servitù nel codice civile
- Il principio del "minimo mezzo"
- Le facoltà accessorie
- Le modificazioni del diritto
- Altre guide sulle servitù
Il diritto di servitù nel codice civile
Il codice civile dedica l'intero capo quinto del titolo che si occupa delle servitù (artt. 1063-1071) alla disciplina dell'esercizio del diritto di cui trattasi.
Ex art. 1063 c.c., l'estensione, il contenuto e le modalità di esercizio delle servitù sono regolati dal "titolo" e, solo in mancanza dalle disposizioni codicistiche.
La norma fissa, quindi, una graduatoria delle fonti tese a disciplinare l'esercizio delle servitù, stabilendo che gli articoli del codice civile hanno natura sussidiaria (cfr. Cass. n. 731/2008; Cass. n. 13724/1999) e trovano applicazione soltanto allorquando il titolo costitutivo, ovvero l'atto o il fatto che ha dato loro origine (contratto, testamento, sentenza, ecc.) sia omissivo o lacunoso (cfr. Cass. n. 216/2015; Cass n. 5228/1983).
Il principio del "minimo mezzo"
Da un'interpretazione sistematica e congiunta delle norme, emerge che il principio generale in materia è quello, previsto già nel diritto romano e usualmente definito "del minimo mezzo" o dell'"uso civile", in base al quale il titolare del diritto di servitù deve esercitarlo arrecando utilità al fondo dominante con minor aggravio per il fondo servente.
Sul punto è chiara la seconda parte dell'art. 1065 c.c.; la norma citata, infatti, stabilisce che, ogni qual volta nasca un dubbio in merito all'estensione e/o alle modalità di esercizio del diritto e tale incertezza non possa essere risolta mediante l'analisi del titolo costitutivo (il quale, come già detto, assume carattere di preminenza), "la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente".
La valutazione dei bisogni del fondo dominante andrà effettuata con riguardo al momento in cui il diritto di servitù è stato costituito, tenendo conto delle modificazioni della realtà sociale e dell'evoluzione tecnica (così, ad esempio, il proprietario del fondo servente non potrà opporsi al passaggio con mezzi a trazione meccanica se la servitù costituita antecedentemente prevedeva il passaggio con i carri trainati da cavalli o buoi, cfr. Cass. n. 3747/2007).
Le facoltà accessorie
Altro criterio sussidiario, e conseguenza del principio del minimo mezzo, è quello stabilito all'art. 1064 c.c., secondo il quale il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne (Cass. n. 6603/1982).
Solo tali facoltà accessorie (c.d. adminicula servitutis) indispensabili per il suo esercizio sono legittimamente incluse nella servitù: ad esempio, il diritto di attingere l'acqua da un pozzo, comprenderà sicuramente anche il diritto di passaggio sul fondo in cui lo stesso si trova (cfr. Cass. n. 1497/1994; Cass. n. 5983/1979).
Le modificazioni del diritto
Quanto alle modificazioni dell'esercizio della servitù, in applicazione dei criteri sopra richiamati, l'art. 1067 c.c. stabilisce che "il proprietario del fondo dominante non può fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente" e, analogamente, che il proprietario del fondo servente "non può compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l'esercizio della servitù o a renderlo più incomodo".
Il successivo articolo 1068 c.c., in primis, dopo aver stabilito che, in linea di massima, l'esercizio della servitù non è trasferibile in luogo diverso (c.d. locus servitutis) da quello ove era stata posta ab origine, precisa che, tuttavia, nell'ipotesi in cui l'esercizio originario sia diventato più gravoso per il fondo servente o non permetta l'effettuazione di lavori, riparazioni o miglioramenti, "il proprietario del fondo servente può offrire al proprietario dell'altro fondo un luogo egualmente comodo per l'esercizio dei suoi diritti, e questi non può ricusarlo".
Il cambiamento di luogo per l'esercizio della servitù può essere del pari concesso al proprietario del fondo dominante, previa sua istanza, se questi prova che il cambiamento rappresenti per lui un notevole vantaggio e non pregiudichi concretamente il diritto del titolare del fondo servente (cfr. Cass. n. 4952/2004).
Si realizza, infine, un trasferimento vero e proprio della servitù, quando è l'autorità giudiziaria a disporre che la servitù sia trasferita su altro fondo del proprietario del fondo servente o di un terzo che vi acconsenta, purché l'esercizio della stessa "riesca egualmente agevole al proprietario del fondo dominante" (Cass. n. 20204/2004).
Secondo lo stesso filone si muove anche la disposizione successiva (art. 1069 c.c.), che impone al proprietario del fondo dominante, il quale intenda realizzare opere necessarie per conservare la servitù, di scegliere "il tempo e il modo che siano per recare minore incomodo al proprietario del fondo servente".
Ai sensi del 2° comma, le spese necessarie per tali opere sono a carico del proprietario del fondo dominante, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo o dalla legge. Se però le opere giovano anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi.
Ex art. 1071 c.c., infine, qualora il fondo dominante sia oggetto di divisione (o frazionamento), il diritto originario di servitù permane su ogni porzione del medesimo, salve le ipotesi di aggravamento della condizione del fondo servente, essendo considerato alla stregua di un "unicum" ancorchè le singole parti appartengano, dopo il frazionamento, a diversi proprietari (Cass. n. 2168/2006).
Se, invece, ad essere diviso è il fondo servente e la servitù ricade su una parte determinata dello stesso, "le altre parti sono liberate" (art. 1071, 2° co., c.c.).
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