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I piani attestati di risanamento

Guida legale ai piani attestati di risanamento: natura, funzione, requisiti e ruolo nell’attuale sistema di gestione della crisi d’impresa.
Indice rapido della guida
Sezione fallimento / liquidazione giudiziale (ex fallimento)
Concordati e ristrutturazioni
Liquidazione coatta amministrativa e altri
Nota: i titoli storici "fallimento" restano in URL per continuita' e SEO; nel testo useremo la terminologia CCII (es. "liquidazione giudiziale").

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Cosa sono i piani attestati di risanamento

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I piani attestati di risanamento sono strumenti di natura prevalentemente negoziale e privatistica, attraverso i quali l’imprenditore in difficoltà predispone un programma volto al risanamento dell’esposizione debitoria e al riequilibrio della situazione economico-finanziaria.

Essi trovano oggi collocazione nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, all’interno di una logica che privilegia l’emersione tempestiva della crisi e la sua gestione anticipata, prima che si trasformi in insolvenza irreversibile.

A differenza di concordati e accordi di ristrutturazione, il piano attestato non richiede omologazione giudiziale e si fonda sull’autonomia negoziale delle parti coinvolte.

Finalità e logica dello strumento

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La funzione principale del piano attestato è consentire all’impresa di superare una situazione di crisi reversibile mediante accordi mirati con i creditori, evitando l’ingresso in procedure concorsuali più invasive.

Lo strumento è pensato per contesti in cui:

  • la crisi non ha ancora assunto carattere irreversibile;
  • il numero dei creditori coinvolti è limitato o gestibile;
  • vi è una concreta prospettiva di riequilibrio economico-finanziario;
  • si intende preservare continuità aziendale e reputazione dell’impresa.

Il piano rappresenta, in questa prospettiva, una forma di autocomposizione assistita della crisi, fondata sulla responsabilità dell’imprenditore e sulla credibilità delle soluzioni proposte.

I requisiti del piano

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Il piano attestato deve presentare requisiti di completezza, coerenza e ragionevolezza. In particolare, deve contenere:

  • una descrizione analitica della situazione economica, patrimoniale e finanziaria;
  • l’indicazione delle cause della crisi;
  • le misure previste per il risanamento;
  • i tempi e le modalità di attuazione;
  • le fonti di copertura finanziaria;
  • gli effetti attesi sul ceto creditorio.

Non è richiesto un contenuto “tipizzato”, ma il piano deve essere idoneo, in concreto, a consentire il riequilibrio dell’impresa.

Il ruolo dell’attestatore

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Elemento centrale del piano è l’attestazione di un professionista indipendente, chiamato a verificare:

  • la veridicità dei dati aziendali utilizzati;
  • la coerenza interna del piano;
  • la ragionevole fattibilità delle misure previste.

L’attestatore non esprime un giudizio di merito imprenditoriale, ma una valutazione tecnica e prognostica sulla capacità del piano di raggiungere l’obiettivo di risanamento.

La sua indipendenza e credibilità costituiscono il vero presidio di affidabilità dello strumento.

Effetti giuridici e limiti di tutela

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Il piano attestato non produce automaticamente effetti protettivi generalizzati. In particolare:

  • non blocca di per sé azioni esecutive o cautelari;
  • vincola solo i creditori che vi aderiscono;
  • non comporta spossessamento dell’imprenditore.

La sua rilevanza giuridica emerge soprattutto in termini di esenzione da responsabilità e revocabilità di taluni atti, se il piano è correttamente strutturato e attestato.

Nota: la portata protettiva va sempre valutata caso per caso, in relazione alla concreta attuazione del piano.

Rapporto con gli altri strumenti di regolazione della crisi

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Nel sistema del Codice della crisi, il piano attestato si colloca come strumento di primo livello, utilizzabile prima di soluzioni più strutturate.

  • rispetto alla composizione negoziata, è più informale ma meno assistita;
  • rispetto agli accordi di ristrutturazione, è meno protetto ma più rapido;
  • rispetto al concordato preventivo, è meno invasivo e meno pubblico.

La scelta dipende dalla gravità della crisi, dalla struttura del debito e dalla capacità dell’impresa di costruire consenso attorno al proprio progetto.

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